Matruzza bedda

personale da Angiolucci

2 Marzo 2008 Piazza Trento Catania
Le opere di Orazio Coco sono figure dai fianchi larghi, dai seni smisurati e dal ventre rigonfio, ma non sono semplici allegorie della maternità, perché rappresentano la vita stessa, l’essere che si manifesta, una presenza eterna e non contingente.

Mito, archetipo, Grande Madre, quella che lo stesso artista ha definito “contenitore cosmico” e multietnico, con dei rimandi iconografici antichi e moderni, palesi o sottesi, che indicano comunque l’appartenenza ad una realtà superiore, quasi trascendente, una realtà in cui il recupero del genius loci mediterraneo avviene nell’acconciatura: il tuppo da cui il titolo dell’opera: Matruzza Bedda.

Al di là di ciò che queste opere indicano a ciascuno di noi, Grande madre o cristiana maternità, esse sono forme eterne che non si preoccupano di teorie estetiche o ideologie, vivono di vita propria, incuranti, non hanno paura di richiamare esempi famosi, hanno in sé la loro giustificazione.

Sono figure che attingono più alla quotidianità che alla retorica, che tradiscono imperfezioni, che non ricercano un ideale di bellezza, azzardano pose differenti, come se assecondassero un moto spontaneo, come l’ultima, più umana e naturale, distesa e cullata da un fiume di chiome.

Sono solo apparentemente statiche perché dotate di un imprevedibile guizzo espressivo che le fa apparire diverse a seconda del punto di vista e che le assolve dalla staticità anche quando il corpo si erge grande, enorme, monolitico.
Sono, e concludo, figure che esplicitano la relazione tra l’io, cio che è più personale, e l’archetipo, l’esperienza primitiva riconoscibile da ciascuno.

Mariella Abate

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